Le elezioni europee appena scorse sono state variamente commentate, con un balletto dei numeri e dei commenti su chi ha vinto e chi ha perso a livello nazionale e del parlamento europeo; numeri e commenti che praticamente non hanno mai fatto i conti con un convitato di pietra – l’astensionismo e, soprattutto, le motivazioni degli astensionisti (il dato bruto è del 44% per l’Italia e del 50% per l’intera Unione Europea).[1]
Astensionismo ed astensionisti sono pertanto il non detto, il non calcolato, il non considerato: eppure, una volta che lo si prenda in considerazione, l’immagine di ciò che è davvero accaduto, di quali sono i reali rapporti di forza e di consenso cambia notevolmente. Ci raccontano di una Lega al 34%, di un PD in rimonta, ecc. ma ragionando sul 100% degli aventi diritto al voto la Lega ha il 19%, il PD il 12%, il M5S il 9,5%, Forza Italia al 4,9%, Fratelli d’Italia il 3,6%. Singolarmente e persino collettivamente minoritari per ciò che riguarda l’effettivo consenso che essi ricevono, ammesso (e non concesso affatto) che i voti ricevuti siano tutti legati ad un minimo di scelta di campo e non invece a momentaneo opportunismo od alla logica del “meno peggio”..
Dunque, è la rimozione dell’astensionismo e degli astensionisti a far sì che generalmente si creda che un italiano su tre sia leghista (sono comunque troppi anche meno di uno su cinque, sia chiaro), di un PD in rimonta e via discorrendo. La storia del PD “in rimonta” è quella che, forse, maggiormente fa capire cosa significa ragionare in termini di percentuali di percentuali. Anche volendo creargli la situazione di controllo più favorevole, confrontando cioè i numeri delle scorse elezioni nazionali con quelli delle attuali elezioni europee, la notizia che il PD è passato dal 18,72% al 22,8% nasconde il fatto che, in realtà, è sceso da 6.134.727 a 6.045.723 voti. Insomma, ha perso ulteriori 89.004 voti. Il tutto senza voler paragonare le attuali elezioni con quelle consimili del 2014 – quelle del PD al 40,8%.
D’altronde anche focalizzarsi troppo sulla vittoria di Salvini ci fa rischiare l’effetto della “fallacia dell’evidenza fuorviante”: nel resto d’Europa la temuta “ondata nera” ha fatto letteralmente fiasco e la vera sorpresa è – probabilmente grazie alle mobilitazioni giovanili contro il disastro climatico – l’aumento del voto a forze che si sono presentate, almeno formalmente, sulla linea d’onda delle lotte ambientali: al Parlamento Europeo i Verdi hanno sessantanove deputati, le estreme destre solo cinquantotto ed il tutto senza contare le forze di “sinistra radicale”, altrimenti il rapporto sarebbe di centosette a cinquantotto. Focalizzarsi sull’Italia, insomma, ci può far perdere di vista il quadro generale anche volendoci limitare al gioco delle percentuali di percentuali.
Tornando a noi, il dato dell’astensionismo nasconde soprattutto il fatto che, anche togliendo la cifra statisticamente sempre presente di impossibilitati per malattia o altro, sono circa venti milioni gli italiani aventi diritto al voto che hanno ritenuto Domenica 26 Maggio 2019 di non riconoscersi in alcun partito. Questo per usare un eufemismo, essendo assai probabile, anche in assenza di ricerche statistiche serie sulle motivazioni del non voto,[2] che in questo bacino di persone i sentimenti verso i partiti che si danno al gioco elettorale siano estremamente negativi.
Certo, non abbiamo a che fare con venti milioni di rivoluzionari in atto. In potenza, però, sì ed è proprio per questo che essi diventano il non detto, il taciuto, il nascosto. Per non dire del fatto che molti dei votanti hanno fatto la loro scelta nella logica del “meno peggio” e questo è vero soprattutto per il voto “a sinistra”: anche qui non ci sono statistiche precise ma, a lume di naso, mettendo insieme i votanti col naso turato e gli astensionisti probabilmente abbiamo a che fare con la maggioranza degli italiani maggiorenni che nutre sentimenti negativi nei confronti dell’intero arco partitico. Se poi questi calcoli li estendiamo a livello dell’intera Unione Europea, il numero diventa dell’ordine di circa duecento milioni di persone.
Persone che desiderano un’altra vita. Su queste persone, uomini e donne di tutte le generazioni e di tutti i generi, praticamente tutte e tutti facenti parte del 99% di cui parlava il fortunato slogan di Occupy Wall Street, che occorre dirigere il nostro lavoro politico e sociale, trovare i modi per dialogare con essi. Anche perché non è la prima volta che il “paese reale” ribalta le aspettative di chi aveva giocato sulle percentuali di percentuali per dare di sé un’immagine di potenza travolgente: oggi l’ineffabile Matteo Salvini sventola il suo 34%, cinque anni fa un altro Matteo (Renzi) sventolava addirittura un quasi 41%. Cinque anni fa il precedente Matteo, forte del suo 41%, diede vita ad una politica schiacciasassi di distruzione delle condizioni di vita e di lavoro della maggior parte delle persone: sappiamo come è andata a finire. Contro di lui la protesta è andata montando sempre più, portandolo ad una rovinosa caduta e, mettiamolo in evidenza, molte delle persone che erano protagoniste delle mobilitazioni di allora erano stati tra gli astensionisti delle elezioni europee 2014.
A questo punto vale la pena di spendere qualche parola sul tracollo del movimento pentastellato. Alle elezioni politiche del 2013 l’M5S aveva già avuto una notevole affermazione (il 25,56% dei votanti) in quanto aveva attratto il voto di una parte dell’astensione e persino di alcuni movimenti sociali e politici. Alle elezioni europee dell’anno successivo, però, la percentuale era già scesa al 21,15% mentre, come dicevamo, il PD renziano volava al 40,8%. Matteo Renzi, infatti, aveva saputo giocare molto bene le sue carte sullo stesso terreno del Movimento Cinque Stelle, presentandosi come “rottamatore” dei partiti tradizionali, imponendosi alla guida del governo e giocando populisticamente la carta degli ottanta euro.
Insomma, la parabola del PD renziano e quella del movimento pentastellato hanno molte affinità: entrambi hanno intercettato una parte dell’astensione e di movimenti sociali, deludendo pressoché immediatamente il proprio elettorato mostrando il proprio vero volto ferocemente neoliberista ed autoritario, finendo con un clamoroso tonfo. Proprio per questo è interessante ricordare come entrambi hanno subito la pressione della piazza in tutto il loro periodo di governo,[3] una pressione che è stata sottovalutata soprattutto da parte di chi si era lasciato ingannare dal gioco delle percentuali di percentuali (cavolo, col 41% di consensi chi lo smuove più a quello?, pensavano in molti). Un’illusione che talvolta era presente persino in chi lo contestava, che sottovalutava pertanto la propria forza.
Oggi un altro Matteo si fa avanti forte del suo 34% e proclama sconquassi: ovunque vada, però, trova gente a contestarlo in ogni modo possibile ed immaginabile, al punto da costringerlo talvolta ad annullare visite precedentemente strombazzate in lungo ed in largo mediaticamente. Tutto ciò accadeva, ricordiamocelo, poco prima delle elezioni europee e del suo 34%: il consenso reale, anzi il dissenso, alle sue politiche non è certo mutato da un giorno all’altro, era quello anche il giorno prima.
Occorre insomma capire che i milioni di uomini e donne nascosti nell’astensionismo o nel voto a naso turato sono fondamentali nei rapporti di forza: scioperi, sit-in, cortei, manifestazioni di dissenso di ogni tipo sono, per ciò che concerne il consenso effettivo al governante di turno, molto ma molto più importanti delle percentuali di percentuali. Si pensi solo al caso dei Giubbotti Gialli: chi avrebbe previsto un movimento di opposizione al governo francese di tale portata immediatamente dopo la vittoria di Macron col 58,52% e con la Le Pen al secondo posto col 30,01% dei votanti? L’assenza del convitato di pietra nelle analisi, il gioco delle percentuali delle percentuali, avrebbe ed ha impedito di comprendere i reali umori della maggioranza del popolo francese.
Certo, non tutti questi circa trenta milioni (in Italia) o duecento (in tutta l’Unione Europea) di esseri umani che si astengono dal voto o votano a naso turato sono poi degli attivisti politici e sociali. Molti però sì: a milioni li troviamo nelle lotte territoriali, sociali, sindacali, nell’associazionismo volontaristico non becero. Sono, di conseguenza, i protagonisti del dissenso, attivi assai spesso molto più di chi si limita a mettere una croce su una scheda elettorale di tanto in tanto. Amiamoli, stiamo in mezzo a loro, parliamoci: sono il nostro popolo. Siamo noi.
Enrico Voccia
NOTE
[1] Dopo che quest’articolo è stato scritto, all’indomani delle elezioni europee, l’autore ha trovato molte assonanze con l’analisi svolta dal Collettivo Wu Ming, scritta anch’essa all’indomani delle elezioni europee ed intorno alla quale si è svolto un interessante dibattito [https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/05/sui-veri-risultati-italiani-delle-europee-2019-non-facciamoci-abbagliare-da-percentuali-di-percentuali/].
[2] Le ricerche statistiche ben fatte sono molto impegnative e costose e, poiché una ricerca del genere non ha alcun interesse a venire svolta da parte di partiti ed istituzioni che, anzi, preferiscono nascondersi dietro le percentuali delle percentuali, in questo caso non vengono effettuate – banalmente perché nessuno se ne accolla i costi.
[3] Le attenzioni della piazza sono state dedicate negli ultimi tempi soprattutto al Matteo numero 2, il che però non deve far dimenticare come l’inizio del tracollo dei pentastellati sia stato annunciato da numerose contestazioni di piazza, di cui le più note mediaticamente sono state quelle tarantine. Il movimento pentastellato è chiuso a riccio in maniera a dir poco da setta per ciò che riguarda la propria vita interna; ciononostante, per parafrasare il nostro Fricche, nei bar di Materdei si vocifera di burrascose riunioni con gente che se ne andava sbattendo la porta, di notevole calo della partecipazione dopo l’euforia dei primi mesi di vittoria nelle elezioni nazionali del 2018, ecc. e mi sa che quelle malelingue erano ben informate. Segnali tutti questi assai preoccupanti, di cui la dirigenza pentastellata non ha voluto/saputo tenere conto, proseguendo nella rotta che portava al disastro e sulla quale pare voglia ancora proseguire. Una prece.